Diritto di veduta
L’art. 907 c.c. recita “Quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell’articolo 905.
Se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita. Se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia”.
Ai fini della disposizione anzidetta, secondo unanime giurisprudenza di merito e di legittimità, il termine costruzione non va inteso in senso restrittivo di manufatto in calce o in mattoni o in conglomerato cementizio, ma in quello di qualsiasi opera che, qualunque ne sia la forma e destinazione, ostacoli, secondo l’apprezzamento insindacabile del Giudice, l’esercizio di veduta. Il problema si pone, anche in relazione a tende, tollerabili se di norma vengono richiuse, ma intollerabili se rimangono sempre aperte.
In tema di distanze e vedute, è stato altresì affermato dalla giurisprudenza che il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell’edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di altro condomino anche di un pergolato realizzato a copertura del terrazzo del rispettivo appartamento che, direttamente o indirettamente, pregiudichi l’esercizio di tale suo diritto, senza che possano rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà e alla riservatezza del vicino, avendo operato già l’art. 907 cod. civ. il bilanciamento tra l’interesse alla medesima riservatezza e il valore sociale espresso dal diritto di veduta, in quanto luce e aria assicurano l’igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita (Cass. Civ., 955/2013 e Tribunale Roma, sez. V, 06/03/2017, n. 4479).